Le Sezioni Unite, con sentenza n. 16601/2017, al fine di risolvere un contrasto giurisprudenziale, affrontano l’annosa questione del riconoscimento del “risarcimento del danno punitivo” all’interno dell’ordinamento italiano.
Ma cosa si intende per danno punitivo? Il risarcimento del danno punitivo non solo ha una natura compensatoria-risarcitoria tipica del diritto civile, ma anche una natura penalistica.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Venezia dichiarava valide ed efficaci nell’ordinamento italiano 3 sentenze pronunciate dall’ordinamento giurisprudenziale dello stato della Florida. Queste condannavano una società italiana a pagare la somma complessiva di quasi un milione e mezzo di dollari, oltre interessi al tasso annuo dell’11%, oltre a 106.500 dollari di rifusione dei costi, spese legali e interessi all’8% e ulteriori 9mila euro per il giudizio di appello.
Con queste decisioni, i giudici americani avevano accolto la domanda di garanzia promossa dalla società americana rivenditrice del casco da motocross, prodotto dalla società italiana, indossato da un motociclista che aveva subito, a causa di un vizio del casco, gravissimi danni alla persona in un incidente avvenuto durante una gara di motocross.
Nel giudizio, promosso dal danneggiato anche nei confronti della diversa società importatrice, la società venditrice aveva accettato la proposta transattiva del motociclista, e il giudice americano aveva poi ritenuto che dovesse essere pagata dalla società italiana-produttrice.
La società italiana ha proposto ricorso per Cassazione ritenendo che vi fossero due gravi violazioni: una, di rito, ritenendo che il procedimento americano avesse violato i principi dell’equo processo;l’altra, invece, sulla circostanza che le sentenze americane avessero riconosciuto anche danni punitivi, in quanto tali non riconoscibili dall’ordinamento italiano.
La causa è stata rimessa alle Sezioni Unite con rinvio disposto dalla Prima Sezione, che ha sollecitato un ripensamento sul tema della riconoscibilità delle sentenze straniere che contengono danni punitivi.
Il primo aspetto trattato dalle Sezioni Unite è relativo al concetto di ordine pubblico processuale. In particolare, il Supremo Collegio ritiene che non si possa parlare di violazione del diritto di difesa in ogni e qualsiasi inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera a tutela della partecipazione della parte a giudizio. Ma «soltanto quando essa, per la sua rilevante incidenza, abbia determinato una lesione del diritto di difesa rispetto all’intero processo, ponendosi in contrasto con l’ordine pubblico processuale riferibile ai principi inviolabili a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, e non quando, invece, investa le sole modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie».
In questo senso la tutela del diritto fondamentale ad un equo processo non deve essere intesa come imperativo assoluto e cioè « intransigente ricerca di qualsivoglia violazione in relazione alle movenze processuali di ogni singolo Stato», bensì come strumento per impedire, tramite l’esecuzione di sentenze straniere, solo le manifeste e smisurate lesioni del diritto delle parti al contraddittorio e difesa.
il ricorso della società italiana è stato respinto, poichè, avendo scelto di non partecipare (sostituendosi, come avrebbe invece potuto, secondo le regole americane, alla società venditrice) al giudizio di responsabilità intentato in Florida, non può ora far valere differenze dei sistemi processuali che non si siano risolte in una compromissione irragionevole e sproporzionata del diritto di difesa.
Inoltre, la Cassazione ricorda come la Corte di Appello abbia da un lato chiaramente considerato la circostanza si fosse discusso tra le parti di danni punitivi, ritenendo però che l’accordo non implicasse un’avvenuta liquidazione dei danni punitivi bensì soltanto che la società americana avesse richiesto una rinuncia, in un’ottica di chiusura tombale dei rapporti tra le parti, anche alle pretese per i danni punitivi.
Infatti, a fronte di un’iniziale richiesta di risarcimento di una somma compresa tra 10 e 30 milioni di dollari, la somma contenuta nella transazione recepita dal giudice americano è stata notevolmente ridimensionata, e peraltro ben sotto i limiti della sola componente patrimoniale del risarcimento come inizialmente richiesto.
Alla luce di quanto sopra esposto, quindi, le Sezioni Unite “aprono” all’ammissibilità del risarcimento del danno punitivo riconoscendo validità ed efficacia a quelle sentenze che, seppur emesse in ordinamenti stranieri, possono essere riconosciute in Italia e spiegare i loro effetti anche nei confronti di consociati residenti in Italia. Secondo le Sezioni Unite, però, la quantificazione del danno non dovrà essere contraria ai principi di proporzionalità e ragionevolezza tipici dell’ordinamento italiano e rispettare i caratteri dell’ordine pubblico.
E’ opportuno sottolineare che il Supremo Collegio nella sentenza in commento, si è soffermato sulla natura e sulla finalità della responsabilità civile, ricordando inoltre che con la sentenza n. 9100 del 2015 avesse messo in luce il modo in cui la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non debba più ritenersi incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento, visto e considerato che negli ultimi decenni il legislatore ha introdotto norme dal connotato tipicamente sanzionatorio del risarcimento.
Le Sezioni Unite, inoltre, evidenziano e chiariscono che la funzione sanzionatoria è ammissibile solo se lo prevede la legge, al fine di evitare che possa esservi violazione dell’articolo 25 Cost., comma 2, nonché dall’art. 7 della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali.
Dunque, anche in linea con quanto espresso dalla Corte Costituzionale (cfr, n. 303/2011, 238/2014, 152/2016) oltre alla funzione compensativo-riparatoria dell’istituto della responsabilità civile sta prendendo piede in Italia una nuova natura polifunzionale, che, prendendo come riferimento altri ordinamenti, si sta proiettando verso altre aree quale quella preventiva e sanzionatoria-punitiva.
Quindi, in tema di riconoscimento di sentenze che condannino a risarcire danni punitivi, l’esame del giudice italiano dovrà d’ora in poi verificare che nell’ordinamento straniero vi sia un ‘ancoraggio normativo’ per una ipotesi di condanna a risarcimenti punitivi e che non leda le norme dell’ordine pubblico italiano, ovvero, che la condanna al risarcimento rispetti i criteri della proporzionalità e ragionevolezza tipici dell’ordinamento italiano.